FUORIGIOCO - COME CAMBIA IL CALCIO E IL MODO DI VEDERLO E INTERPRETARLO...
Tanti anni fa se qualcuno avesse parlato di squadra in ripresa dopo che la stessa aveva incassato cinque gol sarebbe stato preso per pazzo. I tempi però cambiano e cambia anche il calcio che non è più quello di una volta. Prima si giocava soprattutto per non prenderle, in considerazione soprattutto del fatto che la vittoria portava due punti e non tre come adesso; un pareggio fuori casa equivaleva più o meno a una mezza vittoria perché si andava a sfatare anche quel benedetto “fattore campo” che adesso non c’è più. Le squadre venivano costruite con criteri difensivi di primordine perché il credo imperante era quello di avere una difesa forte, quasi imperforabile. Se ci fate caso e date uno sguardo alle partite di venti/trenta anni fa i pareggi a rete inviolate erano tantissimi, così come erano tantissime le vittorie e le sconfitte maturate con una sola rete realizzata o subita.
Con questi criteri, è logico che una sconfitta tanto pesante maturata in casa – così come è capitato alla Paganese nell’incontro al Marcello Torre contro il Catania - avrebbe fatto gridare allo scandalo e l’allenatore per primo sarebbe stato messo sulla graticola. Adesso, invece, si guarda a un calcio definito “spettacolo”; le squadre puntano ad avere un gioco arioso, spregiudicato, non più rinunciatario e basato sulla difensiva per arrivare anche ai risultati. Da tempo, infatti, complice anche l’avvento dei tre punti in caso di vittoria, le squadre vengono costruite con altri criteri. Hanno fatto scuola, negli anni, l’Olanda di Cruijff, il Milan di Sacchi e – oggi – il Napoli di Sarri.
Oggi i calciatori vengono fuori da scuole che insegnano un calcio diverso da quello del passato. Se ci fate caso non ci sono più calciatori arcigni come una volta, difensori-difensori che magari sapevano poco proporsi in avanti ma che erano bravissimi a controllare l’uomo; non c’è più nemmeno il battitore libero, ultimo uomo alle spalle di tutti i difensori. In proposito, mi vengono in mente giocatori di un calcio epico come Blason, Azzini e Scagnellato di un vecchio Padova affidato a Nereo Rocco, ma anche Codraro dell’Avellino, Bruscolotti del Napoli. Ma non trascurerei nemmeno quelli che abbiamo avuto proprio in casa: i vari Grappone, Scarnicci, Taccola e - perché no? - buon ultimo lo stesso De Sanzo, forse l’ultimo di una scuola che sfornava grandi difensori. Questo calcio universale, con calciatori senza ruoli ben definiti, ha fatto perdere un certo romanticismo a quello che era il calcio di una volta, fatto di difensori veri, di attaccanti sguscianti e imprevedibili, veri folletti impazziti sul versante offensivo.
Dicevo, cinque gol ha incassato, quasi un’infinità, la Paganese martedì scorso ma alla fine abbiamo quasi tutti convenuto che il risultato aveva penalizzato molto, anzi troppo, la squadra di Favo, in partita per buoni settanta minuti durante i quali aveva dato anche del filo da torcere a una squadra come il Catania costruita per vincere. Segno dei tempi. Come cambia il calcio e come cambia anche il modo di vederlo e interpretarlo…
Nino Ruggiero
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